domenica 26 febbraio 2012

waiting



L’attesa tra ricerca e sperimentazione

di Viviana Saitto

«The idea of waiting for something makes it more exciting». È così che Andy Warhol definisce l’attesa in una delle sue famose stampe.

Ma cos’è l’attesa e soprattutto può essere davvero così eccitante?

Sono questi due degli interrogativi dai quali si è deciso di partire ormai due anni fa e sui quali, sebbene numerosi siano stati i contributi apportati dalle professionalità coinvolte in questa ricerca e altrettante le ipotesi sviluppate in ambito universitario, si continua a lavorare. L’eccitazione warholiana è sicuramente una delle componenti che ha accompagnato questo lungo percorso, non solo legato all’idea di lavorare a qualcosa di nuovo, inesplorato dal punto di vista di una specifica competenza disciplinare[1], agli esiti progettuali prodotti, ma dall’essere, in quanto eterni pendolari, per lavoro o per piacere, da sempre fruitori di questi spazi. Se è vero che un’architettura va vissuta per essere realmente capita questi due anni di ricerca, sistematica fruizione e mirata osservazione, hanno portato ad una chiara lettura delle problematiche di questi luoghi, spesso ideologicamente distanti dai principi di una disciplina che prevede la stretta relazione tra costruzione dello spazio e attività delle persone. Il carattere di transitorietà e precarietà di gran parte di essi lascia intendere una mancanza di attenzione al progetto di interni, considerato spazio di risulta tra cellule commerciali e servizi, spesso risolto con arredi e sistemi di sedute più o meno confortevoli con le quali si ha l’assurda pretesa di alleviare le ansie e i disagi di chi aspetta.

Il progetto di interni è ben altro. È caratterizzato da un approccio metodologico che non mira banalmente a riempire gli spazi vuoti lasciati dagli architetti ma propone risultati in grado di costruire luoghi significanti, legati alle necessità e alle aspettative degli individui. L’uomo è protagonista della fruizione dello spazio e il progetto non ha solo il dovere di appagare esigenze elementari, legate alla specifica funzionalità del luogo, ma ha il compito di determinare «una dimensione estetica del vivere quotidiano attraverso la forma stessa dell’abitare»[2].

Il termine «abitare», infatti, rappresenta molto di più dell’avere uno spazio a disposizione in cui poter stare, significa incontrare altri individui, accettare valori comuni, sperimentare la vita come moltitudine di complessità[3] e allo stesso tempo avere la possibilità di vivere un piccolo mondo personale in cui ritrovare se stessi. In quest’ottica i luoghi di transito rappresentano, per la nostra disciplina, spazi di interessante sperimentazione. Sono luoghi in bilico non solo perché allo stesso tempo domestici e pubblici, intimi e collettivi, ma perché non ancora propriamente definiti, banalmente attrezzati, lontani dal poter essere considerati manifestazione della vita quotidiana.

Per l’anno accademico 2008/2009 e 2009/2010 questi spazi sono stati oggetto di studio presso la Facoltà di Architettura di Napoli “Federico II” con due tesi di Laurea triennale[4] e nell’ambito del Laboratorio di Progettazione di Interno Architettonico tenuto da Paolo Giardiello[5]. Entrambi i laboratori possono essere considerati come un vero e proprio cantiere di idee in cui docenti di differenti discipline e progettisti hanno offerto il loro personale contributo, aiutando gli studenti a produrre soluzioni interessanti sul tema della breve, media e lunga attesa.

Alla fine di questi due anni ricchi di esperienze e incontri significativi, infatti, si continua a viaggiare e ci si trova spesso a pensare che le soluzioni proposte dagli apprendisti architetti, allievi dei citati corsi, siano, per alcuni aspetti, più attente di quelle di grandi professionisti, artefici di contenitori esteticamente perfetti, tecnologicamente innovativi ma troppo spesso lontani da reali esigenze di vita. È per questo motivo che si è scelto di partire dalle persone, da coloro che in questi luoghi trasformano la loro valigia in poltrona, tavolo e cuscino per riposare, che attendono nelle posizioni più strambe, che vanno avanti e indietro perché non sanno cosa fare, che parlano nevroticamente al telefono nella speranza di ammazzare un po’ il tempo. Ed è alle persone che hanno lavorato a questo progetto, a quelle che hanno creduto, nell’intimità di un aula universitaria, di poter cambiare le cose, che va rivolto un particolare ringraziamento per aver offerto un fondamentale contributo alla definizione di questa ricerca.



[1] Il Settore Disciplinare di riferimento è quello dell’Architettura degli Interni, comunemente definito «della piccola scala» i cui insegnamenti principali sono: arredamento, progetto dell’interno architettonico, progetto del prodotto di arredo, scenografia, museografia e allestimento.

[2] P. Giardiello, “L’insegnamento tra arredamento e design, dizionario minimo sulle discipline dell’interno architettonico”, in Area, n. 79+, aprile 2005, p.58.

[3] Cfr. C. Norberg-Schulz, L’abitare. L’insediamento, lo spazio urbano, la casa, Electa, Milano 1984.

[4] Le tesi triennali di Laura Mancini e Fabiana Marotta, sviluppate presso il Corso di Laurea triennale in Arredamento, Interno Architettonico e Design presso la Facoltà di Architettura di Napoli “Federico II”, hanno approfondito rispettivamente il tema della lunga e breve attesa nei luoghi di transito. La tesi di Laura Mancini, seguita da Paolo Giardiello e da chi scrive in qualità di correlatrice, incentrata sullo studio dell’attesa nelle strutture aeroportuali, si è avvalsa della consulenza dei docenti: Antonio Gentile (Psicologia), Laura Bellia (Illuminotecnica), Valter Luca De Bartolomeis (Design e Comunicazione). Blocchi attrezzati secondo differenti funzioni accolgono il visitatore nelle ore di attesa, predisponendolo al viaggio e offrendo servizi utili alla struttura che li ospita. La tesi di Fabiana Marotta, seguita dallo stesso gruppo di ricerca, ha indagato il difficile rapporto tra superficie e sottosuolo, trasformando l’attraversamento di scale e tunnel delle metropolitane e l’attesa in banchina in un momento significativo e di particolare valore architettonico. Parte degli esiti prodotti accompagnano iconograficamente il testo e possono essere visionati, nella loro completezza, sul sito http://luoghiditransito.blogpost.com/

[5] Per due anni il Laboratorio integrato di Interni I al primo anno del corso di Laura Magistrale in Architettura, Arredamento e Progetto, ha lavorato sui luoghi di transito grazie all’integrazione dei moduli tenuti da docenti di differenti discipline e con il contributo di esperti del settore. Nello specifico il Laboratorio di Interno Architettonico I, tenuto entrambi gli anni da Paolo Giardiello, si è avvalso della collaborazione dei docenti Antonio Gentile (Psicologia), Marco Elia, Pietro Nunziante (Design), Vito Cappiello (Paesaggio) mentre per l’a.a. 2008/2009; dei docenti Antonio Gentile (Psicologia), Alfonso Morone (Design), Vito Cappiello (Paesaggio) per l’a.a. 2009/2010. Le ricerche svolte in questi anni da chi come collaboratrice ai corsi sono riportate nel sito: http://luoghiditransito.blogpost.com/

mercoledì 15 febbraio 2012

Tesi di Laurea_a.a. 2010/11

Maria Luisa Tortorella_Abstract

Università degli studi di Napoli "Federico II", Facoltà di Architettura,
Corso di Laurea in Arredamento, Interno Architettonico e Design.
“Spazi per l’attesa nei luoghi di transito: Stazione di Campi Flegrei”
relatore: Paolo Giardiello
correlatrice: Viviana Saitto


Il progetto di Tesi proposto ha interessato la rifunzionalizzazione della Stazione di Campi Flegrei, sita nel quartiere di Fuorigrotta a Napoli, un importante nodo di collegamento del sistema di trasporto su ferro della città di Napoli: seconda solo alla Stazione Garibaldi è dotata di sette binari, divisi per tipologia di collegamento, che accolgono il traffico ferroviario metropolitano della Linea 2 e linee extraurbane.
Il contesto in cui è inserita la stazione è un grande piazzale, dominato da due ampie aree verdi, poco fruibile perchè caratterizzato da un forte stato di degrado ed abbandono e da una strada interna, attualmente riservata allo stazionamento/fermata di autobus e taxi e a pochi posti auto. La stazione dei Campi Flegrei è un edificio in muratura portante del 1925 che si sviluppa su più piani: piano sottopassi, piano terra, ammezzato, primo e secondo piano. I livelli superiori sono interamente dedicati a residenze ed uffici; il piano terra ospita alcuni servizi di supporto al viaggiatore ed un grande atrio dove sono posizionati diversi distributori per i biglietti, snack e bibite e in cui si rileva la presenza dell’antica biglietteria perfettamente conservata, attualmente in disuso; infine il piano dei sottopassi è un doppio corridoio estraniante e angusto di scarsa qualità.
Il piano terra e quello dei sottopassi sono stati oggetto di approfondimento progettuale mentre per i piani superiori è stata individuata una nuova destinazione d’uso e la relativa distribuzione funzionale.
Un’analisi dell’esistente ha individuato le criticità del luogo. La più evidente è l’introversione di questo luogo nei confronti della città: l’edificio, con una destinazione sia pubblica che privata, si presenta fortemente chiuso rispetto al flusso dei fruitori e non offre funzioni utili al visitatore/viaggiatore.
L’individuazione di nuove destinazioni d’uso e di distribuzioni più idonee alla funzione cui l’architettura è destinata ne hanno permesso una maggiore apertura, in grado di trasformare l’esistente in un polo di incontro e di scambio e restituire dignità all’esistente.
La difficile accessibilità e la mancanza di permeabilità dell’edificio rappresentano un altro problema di non poco conto. Non parliamo solo di un problema percettivo e funzionale, ma della mancanza di libertà fruitiva per i diversamente abili: assenza di ascensori, frequenti cambi di quota nei sottopassi e difficoltà di risalita alla quota della banchina sono i problemi principali.
L’intervento progettuale mira a risolvere queste criticità grazie alla sovrapposizione di due layer differenti che permettono un uso libero e non vincolato degli spazi della stazione, non più dedicati esclusivamente al viaggiatore:
- Layer 1, luogo del viaggio, dedicato esclusivamente ai viaggiatori;
- Layer 2, luogo della città, dedicato all’interazione del luogo di transito con la città.
L’intersezione tra questi due livelli progettuali trasforma l’edificio esistente in uno “spazio di mezzo”, non più dedicato esclusivamente alle esigenze del viaggiatore, ma a quelle di chi fruisce quotidianamente la zona. La stazione diventa un filtro tra stasi e movimento, tra attesa e socialità, un luogo domestico in cui, grazie a nuove funzioni, poter svolgere attività differenti.
Il nuovo progetto interviene sullo spazio urbano riqualificandolo, restituendo alla città e al viaggiatore in attesa spazi collettivi in cui sostare e socializzare.
Svincolato dall’attuale parcheggio auto e dallo stazionamento/fermata autobus, il piazzale si presenta come un'unica area verde, interrotta al centro da uno squarcio che, lasciando intravedere gli accessi ai nuovi spazi ipogei, sottolinea la forte assialità del percorso che accompagna alla Stazione Mostra della Ferrovia Cumana. Questa grande area è attraversata da percorsi che collegano la strada agli ingressi della Stazione grazie ad una pavimentazione in lastre di calcestruzzo bianco che, circondando gli alberi preesistenti, genera aree attrezzate per la sosta.
In alcuni punti il verde raggiunge i livelli sottosanti dando vita a patii interni e ambiti all’aperto, in grado di collegare il piazzale con lo spazio ipogeo.
La facciata dell’edificio, conservata in tutte le sue parti, è caratterizzata dalla presenza di una serie di scatole metalliche, innestate in corrispondenza delle aperture esistenti, analoghe a quelle realizzate per il piano delle banchine.
Questi piccoli volumi contengono accessi, ascensori e diversi ambiti di sosta, caratterizzati da materiali domestici ed accoglienti.
Il progetto dello spazio interno è stato fortemente condizionato dalla struttura preesistente. Trasparenza e permeabilità garantiscono una più serena fruizione del piano terra, caratterizzato da nuove funzioni e dalla preesistente biglietteria recuperata.
Da qui è possibile raggiungere, con scale e ascensori, il piano dei sottopassi. Lo spazio, a differenza del livello superiore, è stato fortemente modificato. In corrispondenza del piazzale, in adiacenza alla scala, si sviluppano due ampie zone: una dedicata al commercio, in attesa di essere personalizzata dal brand gestore, e l’altra destinata ad attività socio-culturali, quali un’aula studio e una sala conferenze;
Ampie vetrate, lucernai e patii forniscono allo spazio una corretta illuminazione naturale e offrono al visitatore piccole aree verdi in cui sostare.
Entrando in stazione a questa quota un atrio, molto simile a quello del piano superiore, accoglie molteplici flussi di visitatori: quelli provenienti dalla strada ipogea, dai piani superiori grazie ai nuovi ascensori e dal piano terra attraverso le scale. Una successione di pilastri, dalle gradazioni di colori differenti, scandisce il passo e il tempo del fruitore nei lunghi corridoi.
Il visitatore, travolto dai colori vivaci, dalla trasparenza delle superfici vetrate, dalla luce zenitale e dai piccoli patii presenti, non ha la sensazione di percorrere un sottopassaggio e, in collegamento visuale con i livelli superiori, fruisce serenamente di questo spazio senza avvertire l’angoscia di trovarsi sotto terra. Un piccolo caffè e altre funzioni offrono nuovi servizi al viaggiatore, accompagnati dalle numerose attività previste nei due corridoi. Questi ultimi, infatti, sono stati ampliati e caratterizzati da ambiti in attesa in grado di offrire esperienze diverse e in continua evoluzione: il percorso si apre in alcuni punti generando spazi che ospitano funzioni fruibili rapidamente come l’e-market (supermercato virtuale)e spazi per short-show (spettacoli brevissimi di musica, danza, cabaret, extempore artistiche, etc.).
Permeabilità e trasparenza sono le parole chiave di questo progetto, in grado ti trasformare la stazione in luogo in cui il sopra con il sotto, il dentro con il fuori, non presentano più limiti, in grado di liberare il visitatore/viaggiatore da quel senso di disorientamento e spaesamento tipico degli augeani non-luoghi.

Maria Luisa Tortorella_Tavole di progetto

Maria Luisa Tortorella_Render

Rita Fischer_Abstract

Università degli studi di Napoli "Federico II", Facoltà di Architettura,
Corso di Laurea Magistrale in Architettura, Arredamento e Porgetto.
“Evoluzione e prospettive dei luoghi di transito nella città contemporanea: la nuova stazione Edenlandia, linea SEPSA”
relatore: Paolo Giardiello


«C’è solo un viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta. Così come non credo che si viaggi per tornare. L’uomo non può più tornare nello stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da se stessi non si può fuggire. Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare.»¹
Per chi ha approfondito lo studio dell’attesa nei luoghi di transito, “waiting” non è più un sostantivo, ma la chiave che apre le porte a un mondo per molto tempo inesplorato, il mondo che si porta dentro chi viaggia. Provate a pensare: «Manca poco alla partenza, ho dimenticato qualcosa? Compro una rivista, mi siedo, leggo, magari prendo un caffè e faccio un paio di telefonate; il biglietto è in regola? L’ho comprato in rete, magari mi collego e controllo un’ultima volta; ma che ora è? Quando si parte?»
Una volta partito l’ansia si scioglierà in mille e più versioni possibili dell’esatto momento in cui arriverai a destinazione. Il viaggio è già la meta… l’attesa è il viaggio.
E dunque, come progettare gli spazi per l’attesa?
Oggi assistiamo alla fusione dei luoghi di transito con quelli del commercio, con la precisa intenzione di migliorare le prestazioni dei primi, e possiamo osservare come tutti siano caratterizzati dalla medesima forma di comunicazione, codificazione dei segni e straniamento dall’ambiente; sono luoghi dello standard, dove tutto è calcolato, lunghezza dei percorsi, ampiezza delle zone di sosta e persino l’intensità delle luci, della temperatura e degli odori. È ormai necessario ovviare all’eventualità che tali spazi siano sempre più codificati, sempre meno calati nella realtà circostante e ancor meno capaci di offrire all’uomo, quale “animale sociale”, nuove possibilità relazionali, bisogna intervenire tentando di riportare tali spazi a misura d’uomo, e l’architettura deve aiutarci a trovare la forma e la dimensione giuste per generare “luoghi” e non più solo “spazi”. Ponendo particolare attenzione alla riconnessione con il tessuto urbano, carico di valenze storiche e sociali, inserendo spazi per eventi culturali, oltre ai servizi standard previsti, e dedicando particolare attenzione a tutte quelle attrezzature “minime”, più specificatamente atte ad accogliere l’attesa, si potrebbe ridare dignità a spazi ormai privi di qualità.
Il progetto di tesi in questione si occupa di applicare tali concetti per il recupero della piccola stazione Edenlandia, linea SEPSA, di Fuorigrotta. Questa verte in stato di decadimento, ormai scarsamente utilizzata e totalmente estranea al tessuto urbano e alla presenza dello storico parco divertimenti, progettato da Luigi Piccinato nel 1940 e appartenente al più vasto complesso della Mostra d’Oltremare, anch’esso ormai al limite della sopravvivenza. Dopo un’attenta analisi del sito e delle mancanze lamentate dagli utenti, il progetto prende il via dal ridisegno della piccola stazione e si estende fino a congiungersi, per via di percorsi aerei, al parco. Questa scelta progettuale s’impone sin dalle prime fasi, con la convinzione che attraverso tali nuove connessioni lo stesso parco trarrebbe linfa vitale dal sistema di trasporto. L’edificio della stazione si svolge su tre livelli, di cui uno interrato e due fuori terra, accogliendo nuovi servizi come parcheggi, locali commerciali e giardini urbani. Da questo si diramano diversi percorsi che collegano i piani del suddetto con la zona abitata che si sviluppa oltre la linea dei binari, e con l’ingresso al parco divertimenti, completamente ridisegnato e attrezzato. Quest’ultimo collegamento si può definire una vera e propria galleria, dimensionata per accogliere mostre temporanee in collaborazione con enti e istituti scolastici locali. Giungervi è un viaggio che non si arresta all’approdo, ma continua e s’insinua nella città. Un viaggio fatto di scorci, trasparenze, traguardi, un viaggio fatto di colori e giochi, di una città che torna a vivere… e quando il sole cala, le luci trasformano la piccola stazione in una lanterna atta a richiamare e accogliere l’arrivo dei visitatori, perché l’architettura è per gli uomini, e agli uomini deve volgere.


¹Andreij Tarkovskij, Racconti cinematografici, Garzanti, Milano 1994.

Rita Fischer_Tavole di progetto

Bruna Sigillo_Abstract

Università degli studi di Napoli "Federico II", Facoltà di Architettura,
Corso di Laurea Magistrale in Architettura, Arredamento e Porgetto.
"Luoghi di relazione per il presente Infrastrutture a misura d’uomo"
relatore: Paolo Giardiello
correlatrice: Viviana Saitto


Vivere gli spazi della città significa entrare in relazione con tutti gli aspetti relativi a quanto essa offre, ed in particolare fruire dei servizi e delle strutture necessarie alle attività del quotidiano. Eppure le continue trasformazioni dell’intorno generano un meccanismo nel quale il fruitore spesso subisce le soluzioni progettuali incanalandosi in uno sciame di muti consumatori interessati esclusivamente a soddisfare una necessità, senza curarsi del contesto né tantomeno del potenziale di relazioni umane possibili. Nell’analizzare i limiti di questa allarmante condizione, fenomeno particolarmente rilevante nel caso dei centri commerciali, si esplora il campo delle infinite possibilità di interventi possibili al fine di un pacifico dialogo tra layouts funzionali e layouts relazionali che si intrecciano generando una sana combinazione progettuale.

A conclusione del corso di Laurea Magistrale in Architettura, Arredamento e Progetto, ho affrontato con il prof. arch. Paolo Giardiello, in qualità di relatore, e la correlazione dell’arch. Viviana Saitto, un tema di tesi complesso quanto interessante. Il titolo stesso espone i due momenti che caratterizzano l’articolazione della tesi, la prima battuta dichiara il vasto campo di indagine, “luoghi di relazione del presente”, la seconda, invece, “infrastrutture a misura d’uomo”, esplicita la fase di progetto, o meglio, la direzione ideale nell’ampio mondo di risposte progettuali possibili.
Da alcuni decenni stiamo assistendo a repentini cambiamenti dell’intorno urbano ed extraurbano ai quali prendiamo parte in maniera del tutto inconsapevole, trascinati dagli eventi che catalizzano una moltitudine di utenti tale da generare “luoghi” approvati da un diffuso senso comune di appartenenza.
Intorno al termine “luogo” nascono affascinanti discorsi dello scibile umano, ma, in risposta alle continue trasformazioni c’è una necessità di aggiornare la letteratura esistente, arricchendone le definizioni e gli usi. Muovendo in particolare dalle teorie sulla società metropolitana contemporanea, espresse dell’antropologo Marc Augè, si punta alla condizione di incremento della solitudine e di spersonalizzazione in quegli ambiti frequentati da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano affatto, giungendo a definire le nozioni di nonluogo e di iperluogo.
Gli scenari del contemporaneo si confrontano con la presenza di strutture atte a garantire tutti i servizi necessari alla mobilità, laddove si riscontrano i fenomeni di maggiore assenza di relazione: luoghi di transito, quali stazioni, aeroporti, autostrade e i luoghi del commercio, come centri commerciali, grandi magazzini, outlet ed ipermercati.
Analizzando i fenomeni di sviluppo delle due categorie ed evidenziando i temi ricorrenti che le identificano, si giunge a stabilire una fusione funzionale delle stesse: la stazione che annette al proprio interno il sistema commerciale, che sarà il pretesto per la sperimentazione progettuale della tesi in questione.
Seguendo la documentazione dell’architetto ideatore dei primi centri commerciali moderni, Victor Gruen, in America all’inizio del XX secolo sono inizialmente inseriti come architetture di eccellenza nelle applicazioni delle teorie sulle città giardino, non a caso vi si cominciarono a costruire intere città intorno, attrezzandoli di banchi, fontane, oggetti d’arte ed attività molto diversificate per animarlo. Negli anni ’40 i centri commerciali proliferano fuori dalle città, di pari passo con lo sviluppo dell’automobile, in contesti estesi definendo architetture prevalentemente basse, senza aperture verso l’esterno, isolate in mezzo a vaste aree di parcheggio, ed è in questi stessi anni che si stabilisce l’importanza delle strutture di loisir al fine di trasformare il centro in un luogo di attività sociali e culturali. Si giunge a definire un prodotto architettonico standard: gallerie, atri e piazze riconoscibili in qualunque parte del mondo con elementi segnaletici pubblicitari per attirare anche a distanza i “clienti”.
Analogamente si muove una riflessione sullo sviluppo delle attività dei luoghi di transito, gli spazi della mobilità, storicamente intesi come strutture ibride, dalla cui conformazione emergeva in genere o una magnificenza della tecnica strutturale, e quindi i progressi delle tecnologie, o divenivano quasi monumenti per manifestare l’identità simbolica dei nuovi spazi della città per il trasporto.
I cambiamenti della società hanno necessitato in pochissimo tempo di nuove configurazioni spaziali per molte stazioni, sia per la riorganizzazione dei sistemi di trasporto ma ancor più per la necessità di rendere vivibili gli ambiti destinati alla fruizione degli utenti. La risposta più condivisa e di successo è stata senza dubbio data dall’innesto di aree commerciali lungo i percorsi dei viaggiatori ed in particolare la giusta dose di attrezzature nelle aree d’attesa. Grandi atri e gallerie animano i progetti di molte stazioni, divenute magneti funzionali in netto contrasto con il declino di altri spazi della città.
Mettendo a fuoco la questione sollevata dall’antropologia con un filtro più squisitamente legato alle problematiche architettoniche, si tenta di dare una soluzione progettuale al fine di restituire a questi “luoghi” una vera identità, di contro al genere anonimo e stereotipato e privo di storicità nel quale non ci si riconosce e prevale un forte senso di incomunicabilità.
Se uno spazio si conforma mediante dei margini virtuali o reali, ma pur sempre percepibili dall’uomo, allora questi stessi devono presentarne la misura, la finitura, la struttura e l’essenza di elementi architettonici che ne favoriscano la vivibilità.
Il centro commerciale, l’outlet, l’ipermercato così come le stazioni e tutti quei centri polifunzionali che proliferano nel nostro contemporaneo propinano una dimensione decisamente inquietante perché il più delle volte, qualora la scatola architettonica abbia una sua dote di qualità, gli spazi all’interno mostrano uno sconcertante senso di finzione e layouts funzionali troppo rigidi rischiano di compromettere l’utente stesso che subisce passivamente gli spazi.
Prospettive, introspezioni, percorsi densi di significato “emozionali”, valori aggiunti…tutto questo normalmente non c’è! Vi sono molti negozi, molte vetrine: tutto marketing e poca qualità spaziale, soprattutto assenza di Architettura.
Alla luce di queste osservazioni, decodificate le aporie e i limiti del sistema, si sperimenta la progettazione di un centro non più commerciale, ma pretestuosamente collegato al commercio ed alla rete viaria dei collegamenti in un centro urbano nel quartiere Fuorigrotta di Napoli, vicinissimo all’importante nodo ferroviario di Campi Flegrei.
Il progetto si sviluppa nell’area adiacente alla stazione, attualmente adibita a parcheggio pubblico, funzione restituita nei piani interrati ma arricchita di un nutrito complesso di “luoghi” in cui si generano attività sociali mediante la conformazione dello spazio architettonico: i collegamenti, la luce, le introspezioni, prospettive sempre variabili in modo da raggiungere con uno sguardo tutto il complesso, senza mai perdere l’orientamento. Ciascun ambito è destinato alla partecipazione.
Il layout funzionale è invisibile, sebbene estremamente studiato ed accurato. Il fruitore non subisce mai lo spazio e non è mai costretto a norme o limiti. Vive all’interno di un nucleo estendibile all’infinito percettivamente, che si relaziona sempre con il contorno. Non è più costretto in una scatola senza affacci ma passeggerà in un interno attrezzato di tutte le funzioni necessarie, senza escludere l’esterno.
I luoghi del convivio rappresentano il nucleo propulsore di attività sociale all’interno di un contesto, da quello domestico a quello urbano. I fruitori di questi luoghi non sempre sono consapevoli di quanto accade all’intorno e spesso subiscono passivamente percorsi, eventi, sensazioni. L’architettura può spendere molte energie per abbattere i muri dell’incomunicabilità, e può servirsi delle tecnologie, degli eventi, dell’arte per responsabilizzare gli utenti, perché sono la parte più importante del progetto, senza la quale esso stesso non avrebbe esigenza di esistere.


Tavole di progetto_Bruna Sigillo