mercoledì 15 febbraio 2012

Bruna Sigillo_Abstract

Università degli studi di Napoli "Federico II", Facoltà di Architettura,
Corso di Laurea Magistrale in Architettura, Arredamento e Porgetto.
"Luoghi di relazione per il presente Infrastrutture a misura d’uomo"
relatore: Paolo Giardiello
correlatrice: Viviana Saitto


Vivere gli spazi della città significa entrare in relazione con tutti gli aspetti relativi a quanto essa offre, ed in particolare fruire dei servizi e delle strutture necessarie alle attività del quotidiano. Eppure le continue trasformazioni dell’intorno generano un meccanismo nel quale il fruitore spesso subisce le soluzioni progettuali incanalandosi in uno sciame di muti consumatori interessati esclusivamente a soddisfare una necessità, senza curarsi del contesto né tantomeno del potenziale di relazioni umane possibili. Nell’analizzare i limiti di questa allarmante condizione, fenomeno particolarmente rilevante nel caso dei centri commerciali, si esplora il campo delle infinite possibilità di interventi possibili al fine di un pacifico dialogo tra layouts funzionali e layouts relazionali che si intrecciano generando una sana combinazione progettuale.

A conclusione del corso di Laurea Magistrale in Architettura, Arredamento e Progetto, ho affrontato con il prof. arch. Paolo Giardiello, in qualità di relatore, e la correlazione dell’arch. Viviana Saitto, un tema di tesi complesso quanto interessante. Il titolo stesso espone i due momenti che caratterizzano l’articolazione della tesi, la prima battuta dichiara il vasto campo di indagine, “luoghi di relazione del presente”, la seconda, invece, “infrastrutture a misura d’uomo”, esplicita la fase di progetto, o meglio, la direzione ideale nell’ampio mondo di risposte progettuali possibili.
Da alcuni decenni stiamo assistendo a repentini cambiamenti dell’intorno urbano ed extraurbano ai quali prendiamo parte in maniera del tutto inconsapevole, trascinati dagli eventi che catalizzano una moltitudine di utenti tale da generare “luoghi” approvati da un diffuso senso comune di appartenenza.
Intorno al termine “luogo” nascono affascinanti discorsi dello scibile umano, ma, in risposta alle continue trasformazioni c’è una necessità di aggiornare la letteratura esistente, arricchendone le definizioni e gli usi. Muovendo in particolare dalle teorie sulla società metropolitana contemporanea, espresse dell’antropologo Marc Augè, si punta alla condizione di incremento della solitudine e di spersonalizzazione in quegli ambiti frequentati da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano affatto, giungendo a definire le nozioni di nonluogo e di iperluogo.
Gli scenari del contemporaneo si confrontano con la presenza di strutture atte a garantire tutti i servizi necessari alla mobilità, laddove si riscontrano i fenomeni di maggiore assenza di relazione: luoghi di transito, quali stazioni, aeroporti, autostrade e i luoghi del commercio, come centri commerciali, grandi magazzini, outlet ed ipermercati.
Analizzando i fenomeni di sviluppo delle due categorie ed evidenziando i temi ricorrenti che le identificano, si giunge a stabilire una fusione funzionale delle stesse: la stazione che annette al proprio interno il sistema commerciale, che sarà il pretesto per la sperimentazione progettuale della tesi in questione.
Seguendo la documentazione dell’architetto ideatore dei primi centri commerciali moderni, Victor Gruen, in America all’inizio del XX secolo sono inizialmente inseriti come architetture di eccellenza nelle applicazioni delle teorie sulle città giardino, non a caso vi si cominciarono a costruire intere città intorno, attrezzandoli di banchi, fontane, oggetti d’arte ed attività molto diversificate per animarlo. Negli anni ’40 i centri commerciali proliferano fuori dalle città, di pari passo con lo sviluppo dell’automobile, in contesti estesi definendo architetture prevalentemente basse, senza aperture verso l’esterno, isolate in mezzo a vaste aree di parcheggio, ed è in questi stessi anni che si stabilisce l’importanza delle strutture di loisir al fine di trasformare il centro in un luogo di attività sociali e culturali. Si giunge a definire un prodotto architettonico standard: gallerie, atri e piazze riconoscibili in qualunque parte del mondo con elementi segnaletici pubblicitari per attirare anche a distanza i “clienti”.
Analogamente si muove una riflessione sullo sviluppo delle attività dei luoghi di transito, gli spazi della mobilità, storicamente intesi come strutture ibride, dalla cui conformazione emergeva in genere o una magnificenza della tecnica strutturale, e quindi i progressi delle tecnologie, o divenivano quasi monumenti per manifestare l’identità simbolica dei nuovi spazi della città per il trasporto.
I cambiamenti della società hanno necessitato in pochissimo tempo di nuove configurazioni spaziali per molte stazioni, sia per la riorganizzazione dei sistemi di trasporto ma ancor più per la necessità di rendere vivibili gli ambiti destinati alla fruizione degli utenti. La risposta più condivisa e di successo è stata senza dubbio data dall’innesto di aree commerciali lungo i percorsi dei viaggiatori ed in particolare la giusta dose di attrezzature nelle aree d’attesa. Grandi atri e gallerie animano i progetti di molte stazioni, divenute magneti funzionali in netto contrasto con il declino di altri spazi della città.
Mettendo a fuoco la questione sollevata dall’antropologia con un filtro più squisitamente legato alle problematiche architettoniche, si tenta di dare una soluzione progettuale al fine di restituire a questi “luoghi” una vera identità, di contro al genere anonimo e stereotipato e privo di storicità nel quale non ci si riconosce e prevale un forte senso di incomunicabilità.
Se uno spazio si conforma mediante dei margini virtuali o reali, ma pur sempre percepibili dall’uomo, allora questi stessi devono presentarne la misura, la finitura, la struttura e l’essenza di elementi architettonici che ne favoriscano la vivibilità.
Il centro commerciale, l’outlet, l’ipermercato così come le stazioni e tutti quei centri polifunzionali che proliferano nel nostro contemporaneo propinano una dimensione decisamente inquietante perché il più delle volte, qualora la scatola architettonica abbia una sua dote di qualità, gli spazi all’interno mostrano uno sconcertante senso di finzione e layouts funzionali troppo rigidi rischiano di compromettere l’utente stesso che subisce passivamente gli spazi.
Prospettive, introspezioni, percorsi densi di significato “emozionali”, valori aggiunti…tutto questo normalmente non c’è! Vi sono molti negozi, molte vetrine: tutto marketing e poca qualità spaziale, soprattutto assenza di Architettura.
Alla luce di queste osservazioni, decodificate le aporie e i limiti del sistema, si sperimenta la progettazione di un centro non più commerciale, ma pretestuosamente collegato al commercio ed alla rete viaria dei collegamenti in un centro urbano nel quartiere Fuorigrotta di Napoli, vicinissimo all’importante nodo ferroviario di Campi Flegrei.
Il progetto si sviluppa nell’area adiacente alla stazione, attualmente adibita a parcheggio pubblico, funzione restituita nei piani interrati ma arricchita di un nutrito complesso di “luoghi” in cui si generano attività sociali mediante la conformazione dello spazio architettonico: i collegamenti, la luce, le introspezioni, prospettive sempre variabili in modo da raggiungere con uno sguardo tutto il complesso, senza mai perdere l’orientamento. Ciascun ambito è destinato alla partecipazione.
Il layout funzionale è invisibile, sebbene estremamente studiato ed accurato. Il fruitore non subisce mai lo spazio e non è mai costretto a norme o limiti. Vive all’interno di un nucleo estendibile all’infinito percettivamente, che si relaziona sempre con il contorno. Non è più costretto in una scatola senza affacci ma passeggerà in un interno attrezzato di tutte le funzioni necessarie, senza escludere l’esterno.
I luoghi del convivio rappresentano il nucleo propulsore di attività sociale all’interno di un contesto, da quello domestico a quello urbano. I fruitori di questi luoghi non sempre sono consapevoli di quanto accade all’intorno e spesso subiscono passivamente percorsi, eventi, sensazioni. L’architettura può spendere molte energie per abbattere i muri dell’incomunicabilità, e può servirsi delle tecnologie, degli eventi, dell’arte per responsabilizzare gli utenti, perché sono la parte più importante del progetto, senza la quale esso stesso non avrebbe esigenza di esistere.